Percorsi


Sant'Antonino di Susa

Escursionistico

I segni del sacro

Un itinerario toponomastico


Mappa interattiva
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Istruzioni percorso
  • Difficoltà: T [Turisti]
  • Località di partenza: Piazza della Libertà, Sant'Antonino di Susa (TO)
  • Quota di partenza : 380 m 
  • Quota massima : 530 m   
  • Dislivello salita totale: + 170 m
  • Lunghezza percorso: 3,5 km
  • Tempi percorrenza : 1,5 h 
  • Periodo consigliato: dalla primavera all'autunno
  • Strutture di ristorazione e/o di pernottamento: B&B Borgo dei Nobili, Via Roma 13, Sant'Antonino di Susa; B&B La rosa di maggio, località Fontanassa, Sant'Antonino di Susa; B&B Sanpancrazio, Vaie, Via S. Pancrazio, 24; Residence il Cortile, Via Torino 67, Sant'Antonino di Susa; AL KM 0, Bar - Trattoria della Cooperativa. Piazza don Cantore 15, Sant'Antonino di Susa; Antica locanda Belfiore, ristorante pizzeria. Via Vignassa, 21, Sant'Antonino di Susa; Il Provenzale, caffetteria, risto, wine bar – Via Moncenisio 127, Sant'Antonino di Susa; Ristorante Il sentiero dei Franchi, Borgata Cresto 16, Sant'Antonino di Susa; La Locanda del Priore. Socialità per tutti i gusti (ristorante con camere), Vaie, Piazza del Priore

 

Allegati

Descrizione percorso

Uno dei tratti salienti della storia religiosa di Sant’Antonino è di essere stato per molti secoli un paese soggetto alle due preminenti fondazioni monastiche della Valle di Susa: San Giusto di Susa per un terzo del suo territorio (la chiesa minore di San Desiderio ora cappella di Sant'Antonio) e San Michele della Chiusa per i restanti due terzi (la chiesa maggiore ora parrocchiale). Se è vero che una porzione del suo territorio risulta sfruttata in età romana verosimilmente per attività agricole pastorali – lo testimonia il toponimo nervianum collocabile da recenti ricerche alla congiunzione tra l’Arià de Scole e l’Arbril – l’attestazione più antica di un burgus, detto di Sant'Agata nell’area della cappella di Sant'Antonio, è quella del diploma di Ottone I dell’anno 1001. La nascita del borgo è collocabile in età altomedievale e imputabile alla prevalenza del percorso viario sulla sponda orografica destra della Dora, lungo la direttrice nota poi come la via di Francia. L’estensione territoriale piuttosto modesta, poco meno di 10 kmq molti dei quali boschivi, la vicinanza con la Dora governata da sufficienti argini solo a metà del XVIII secolo e con l’area umida dei Mareschi tardivamente bonificata non impediscono di ottenere buoni margini di guadagno da decime e pesi feudali. Un territorio appetibile per le rendite economiche, tra le più elevate in Valle, ma al confine tra i possedimenti dei due monasteri, soggetto perciò a frequenti dispute. Sant’Antonino conoscerà la stagione degli affrancamenti (1599 il primo, 1798 il secondo), vuoi per il decadimento delle due fondazioni religiose (1381 per San Michele e 1516 per San Giusto) e l’affidamento di esse ad abati commendatari meno motivati, vuoi per una condivisa necessità di autonomia dei maggiorenti del paese, in particolare rispetto al prevosto della chiesa maggiore nonché Conte, vuoi per una generale rinnovata politica sabauda meno propensa a delegare porzioni di potere sul territorio.  

Il nostro percorso parte dalla piazza principale (an Piasa), piazza Libertà, dove ha sede la chiesa parrocchiale (la Chéza) e l’ampio cortile (la Court dou Prèivi), un tempo chiostro del monastero agostiniano. La chiesa fu fatta costruire dal marchese Enrico e dalla consorte Adelaide di Susa e donata nel 1043 ai canonici di san Antonino di Noble Val nella diocesi francese di Rhodes. La dipendenza della prevostura e del territorio da essa controllato dalla casa madre oltralpina si prolunga fino al XIII secolo inoltrato e si trova al centro di un conflitto tra gli abati di San Giusto e San Michele della Chiusa con interventi dei vescovi di Torino e Moriana e dello stesso Papa.  La situazione si normalizzò nel 1297 quando la prevostura fu assegnata definitivamente a San Michelle della Chiusa. La parrocchiale è una delle chiese romaniche più antiche della Valle di Susa benché solo il campanile, restaurato nell’estate del 2001, conservi ancora quasi intatto lo stile originario. L’edificio è orientato secondo la direttrice est-ovest, ha tre absidi curve e fianchi ornati da lesene e archetti pensili. Dell’antica costruzione sono conservate importanti tracce nel «cortile delle absidi», negli archetti dell’abside meridionale (per la visita occorrere citofonare in parrocchia) formati da una cornice di mattoni a «denti di sega» correnti tra due listelli e da una serie di mattoni sottili disposti ad angolo, in modo da formare una elegante linea a zig-zag. Tre ampie monofore si aprono nell’abside centrale e una più piccola nelle laterali. L’edificio fu decurtato di 14 metri nel 1698 poiché versava in cattive condizioni lasciando spazio all’attuale sagrato, nella stessa epoca venne rifatta buona parte della copertura della navata centrale. La facciata a capanna spezzata fu costruita tra il 1930 e il 1931. Recentemente sono stati rinvenuti e restaurati, sul fianco destro della chiesa e nelle absidi interne, alcuni affreschi di notevole pregio ed interesse, segno di una committenza raffinata e facoltosa. Nell’abside maggiore, frammenti di figure di santi realizzati all’inizio del Cinquecento, in quella di sinistra è stato rinvenuto un altare del XII secolo mentre nell’abside destra una bella «Pala» dedicata al tema dell’Annunciazione, Crocifissione con la Vergine e san Giovanni, figure di santi (tra questi santa Brigida d’Irlanda, la medesima che troveremo alla cappella del Cresto) databili tra XIV e XV secolo e un richiamo a sant’Agata nel velario del XII secolo. Il culto di quest'ultima ha spiccate caratteristiche agrarie e stradali, i viaggiatori portano con sé un pane benedetto contro i pericoli della strada, i pastori lo usano per proteggere gli animali nel trasferimento verso gli alpeggi. Alla santa poi sono attribuiti poteri particolari contro gli incendi e tutto ciò che brucia: fulmini, gelate, ulcere, coliche ecc. All’esterno una Crocifissione, una Tentazione di sant’Antonio e un san Michele Arcangelo attribuiti al maestro di San Bernardino di Lusernetta (XV secolo). Nella Court dou Prèvi non possiamo più ammirare il chiostro poiché abbattuto all’inizio dell’Ottocento; nella struttura settecentesca dell’edificio del lato ovest del cortile (lo stesso visibile dalla Piasa) si trovano alcune abitazioni di privati e del parroco e gli uffici parrocchiali. Dal «cortile delle absidi», in epoca medievale sede del cimitero, è possibile invece ammirare la parte più antica della struttura della chiesa e una monofora della probabile cripta medievale.

Tornando an Piasa, per raggiungere la borgata del Cresto (ou Crét) occorre prendere la Stra da Meizounëtta in direzione sud verso la montagna tra l'Oubèrgi e la Cantounà. Segnaliamo però, sempre in tema di religiosità, che a circa duecento metri verso Susa sulla via centrale a sinistra, poco prima di una bella fontana a destra, potete ammirare sulla facciata di un edificio (al piano terreno c’è uno studio fotografico) un «compianto sul Cristo morto» – restaurata nel 2004 dall’Università della Terza Età – affresco fatto eseguire presumibilmente dalla famiglia Castelli proprietaria dello stabile nei primi decenni dell'Ottocento. Poco più avanti è visibile la Capèla 'd San Roc (e san Sebastiano) collocata, all’epoca della sua edificazione, in un’area non ancora urbanizzata lungo la direttrice verso la Francia. Un’iscrizione – ora non più visibile – posta all’interno dell’edificio, indicava che la cappella fu fatta costruire dalla comunità nel 1599 in obbedienza a un voto fatto in occasione dell’epidemia di peste che colpì la Valle l’anno precedente. Nel 1762 essa necessitava di radicali interventi di restauro e per questo fu chiusa al culto, nell’ottobre dello stesso anno ancora la comunità, attraverso il consiglio comunale, fece eseguire i lavori che si conclusero nell’estate successiva. Agli inizi dell'800 l'edificio era di nuovo in pessime condizioni. La chiesa venne riedificata nel 1868, ora è parte del beneficio parrocchiale.

Riprendendo la Stra da Meizounëtta ci dirigiamo verso il Crét, sulla sinistra possiamo ammirare un portone, ora murato, che permetteva l'accesso a ou Jardin dou Coumendatour di proprietà della famiglia Billia, attestata in paese già nel XVI secolo con ruoli importanti nell’amministrazione pubblica – alcuni furono sindaci tra Settecento e Ottocento e tra le famiglie maggiorenti dunque coinvolte nelle decisioni più importanti, ad esempio nella stipulazione dell’atto di affrancamento del 1798 –, nell’amministrazione civile in quanto notai e ingegneri, e in quella ecclesiastica ovvero parroci. Appena giunti al parco pubblico sull'attuale Via Rocciamelone, un tempo compreso nelle proprietà dei Billia, ci imbattiamo ne ou Piloun da Meizounëtta dedicato alla Madonna delle Grazie. Si tratta del più antico pilone votivo del territorio (ce ne sono sei di cui uno in località Prèza 'd Bilia sul versante montano a 1029 m). Eretto prima dell’ottavo decennio del Settecento, risulta molto rimaneggiato. Anche in questo caso si tratta di una committenza privata, forse la stessa famiglia Cometto titolare di la Capèla da Meizounëtta. Superata l’edicola votiva, a poche decine di metri sulla sinistra, ci imbattiamo in una bella cascina sul cui muro perimetrale era collocato ou Touroun 'd Nourata: rimane soltanto la pietra su cui era infisso il rubinetto, ricordo di un tempo in cui l'acqua in casa era un lusso per pochi. Poco più avanti c’era l’osteria Da Limpia e, di fronte, ou Filatour ora sede di edifici privati ma un tempo setificio (1872 – 1885) dell’industriale torinese Eugenio Gaudin poi ceduto ad altri imprenditori francesi e torinesi (1885 – 1907) ed infine al Cotonificio Vallesusa, di qui il toponimo Coutoun. Nel secondo decennio del Novecento lo stabilimento dismette questo impianto e gli spazi diventano di civile abitazione. Le macchine dello stabilimento utilizzavano l'energia prodotta da una ruota a pale, non più esistente da tempo, azionata dall'acqua della Bialéra dou Mulin. Nell’ampio cortile si possono ancora ammirare la bassa struttura industriale e soprattutto il magazzino per il primo trattamento dei bachi da seta posto a sinistra del cortile.

Una volta superato il cortile salendo verso il Crét ci imbattiamo a sinistra in due strade di campagna, la prima sulla sinistra orografica della Bialéra dou Mulin ovvero del Canale Cantarana, detta dou Loung da Bialéra, e poco oltre un’altra di fronte la Capèla da Meizounëtta ovvero la Stra da Fountanasa. Mentre la prima, dopo un primo tratto agevole, si snoda in un sentiero non proprio per tutte le età e le stagioni, costeggiando la Bialéra e quel poco di terreno costituito dagli argini del canale giunge a ou Mulin, la seconda porta alla Fountanasa un’area coperta, fornita di piccola vasca con acqua potabile, dove è possibile sostare per uno spuntino.

La Capèla da Meizounëtta è di nuovo un chiaro esempio di committenza privata: è la famiglia Cometto, tra le maggiorenti del paese, in possesso di molti appezzamenti agricoli e protagonista del primo atto di affrancamento (1599) verso il prevosto della chiesa maggiore, a farla erigere prima del 1670. A metà del Settecento, all’abate commendatario di San Michele della Chiusa risulta in pessimo stato e ne intima la sospensione del culto. È descritta come una piccola cappella con la volta a botte, un modesto altare, chiusa al pubblico da un semplice cancello in legno. Tuttavia, vista la devozione popolare testimoniata «da ceri e fiori lasciati sul luogo» e la promessa dei proprietari di restaurarla, dichiara la disponibilità a che – una volta ultimati i lavori – essa possa riaprire al culto. Purtroppo ciò non accadrà se non tra il 1810 e il 1840. Anche questa è ora nella disponibilità della parrocchia e retta da una Compagnia che provvede al culto mariano e al decoro delle sepolture dei soci. Non vi sono opere pittoriche di particolare pregio al suo interno.

Riprendendo dunque la Stra da Meizounëtta verso la montagna sulla sinistra troviamo ou Pasqué 'd Carlin di fatto ora un marciapiede di un’abitazione privata sul quale, fino ad alcuni decenni fa, nella bella stagione gli abitanti della Meizounëtta si ritrovavano la sera per chiacchierare. Sulla destra a pochi metri troviamo un’area parcheggio detta ou Piasal e ou Touroun 'd Nourata che consente un rifornimento di acqua buona e fresca. Poco oltre maestosa si erge la Fournaza destinata alla produzione della calce per l’edilizia. L’edificio è privato. Sulla sinistra incontriamo la Jaséra poi la Stra Chita ed infine ou Piasal 'd Julian. Qui abbandoniamo la strada asfaltata e prendiamo l’agevole sentiero verso il Crét che si snoda a sinistra della piccola fontana addossata a una abitazione privata.

La prima tappa, trascorsi pochi minuti, è ai piedi di ou Pilounat in regione Talpinella. Fu costruito dopo il 1810, probabilmente nel 1841 come indicato in un cartiglio sul manufatto. È dedicato alla Vergine ma riporta la devozione anche per santa Margherita e sant'Agostino. Restaurato nel 2006 dall’Università della Terza Età, secondo i criteri impartiti dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio e per i Beni Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, con il concorso di fondi privati e della parrocchia (proprietaria del bene giacché ceduto per l’occasione dal proprietario), è il più bel pilone dell’intero percorso proposto. Il sentiero sul quale è posto è certamente antico (precedente alla mappa settecentesca, la più antica rappresentazione del territorio conservata) e, insieme alla Stra da Galéra (o Via dei mulini) al confine con il territorio di Vaie, costituivano le uniche vie d’accesso alla borgata. Non possiamo pensare ad un uso pastorale dei piloni, ad esempio quale punto di riferimento per il rito delle Rogazioni o come luogo di sosta delle bare dei defunti che dalle frazioni qui erano prese in carico dal parroco per la sepoltura. È più probabile che essi siano da attribuire alla devozione di una famiglia abbiente o che abbia assolto ad un voto per una grazia ricevuta o ad uno scampato pericolo. Lo stesso vale per il pilone votivo sulla Stra da Galéra (costruito tra fine Ottocento ed inizio Novecento, restaurato nel 2006 dall'Università della Terza Età) e quello alla Prèza 'd Bilia. Fonti orali testimoniano, infatti, nel primo caso, di un voto fatto dal proprietario dei castagneti circostanti che cadde da una pianta durante la bacchiatura e rimase illeso, nel secondo di ringraziamento per il ritorno di un congiunto dal primo conflitto mondiale. È ragionevole pensare, dunque, ad una sorta di sacralizzazione del territorio, l’intenzione cioè di lasciare dei segni sacri lungo un itinerario umano ben definito e frequentato. Come dimostrerebbe la collocazione delle altre tre edicole votive di cui diremo più avanti.

Poco oltre sul sentiero incontriamo la Péra da Balèn-a e finalmente giungiamo a l'Arvoira ovvero la zona sottostante all’area parcheggio che si trova all'ingresso di ou Crét, caratterizzata dalla presenza di un castagno secolare. Qui non si può non menzionare l’area attrezzata e bar Parco Ilse Schölzel Manfrino aperto nel periodo estivo. Accanto alla fontana detta il torrone dai ragazzi del luogo (un neologismo a metà tra il piemontese e l’italiano), si trova la casa degli eredi di Ilse Schölzel Manfrino sulla quale sono state poste due targhe alla memoria: la cittadina italo tedesca, sfollata da Torino ma con amicizie nella frazione, che durante l’occupazione nazifascista si distinse per la collaborazione con le forze partigiane e in particolare, in qualità di interprete presso il comando tedesco a Torino, per il soccorso alla popolazione. Azioni che le valsero il riconoscimento del CNL e dell’amministrazione comunale del dopoguerra.

La borgata è abbastanza grande, posta sull'ampio terrazzo naturale delle Roque da Fountanasa. Le case sono disposte ai lati di una via che unisce l'Arvoira alla Manhina e al centro si trova la la Capèla dou Crét. Nella prima metà del Novecento furono costruite alcune ville prestigiose da imprenditori e benestanti torinesi: la villa del barone De Martini in stile Liberty e quella accanto dei Borgogno. La costruzione della Stra dou Crét tra il 1928 e il 1929, ora asfaltata, fu fortemente voluta dagli abitanti del paese che vi provvidero a proprie spese e nella manodopera, per favorire il turismo che in loco contava su otto affittacamere, due osterie – tra queste la Cantin-a dou Crét – e un albergo. Nell’ultimo periodo del secondo conflitto mondiale alcuni abitanti ospitarono alcuni ebrei sfollati.

Dal piccolo parcheggio è possibile fare una digressione per visitare altre due edicole votive. Per farlo occorre percorrere la strada asfaltata in salita per circa 10 minuti, dopo poco più di un chilometro, superato un gruppo di case diroccate sulla sinistra (San Matoun) e una presa d’acqua per l’acquedotto a destra (la Fountan-a Matoun) si incontra, di nuovo a destra, un piccolo spiazzo e un grande castagno sul quale è indicato il «sentiero n. 3 per Billia». Imboccata la strada sterrata a destra dopo duecento metri si giunge al Pilounat ‘d San dou Rousé molto simile al Piloun da Meizounëtta, benché non abbia avuto nel tempo restauri conservativi e si presenti perciò in pessime condizioni, sebbene in un contesto suggestivo. Fu costruito nei primi decenni dell’Ottocento al limite delle frazioni abitate e all’imbocco del sentiero che conduce a un alpeggio montano e al declivio per la Val Sangone. Tornando al piccolo spiazzo e al castagno, si percorre la strada asfaltata e a poche decine di metri si giunge ad un gruppo di case abitate e al Pilounat ‘d San Catè di recente costruzione, dedicato alla Vergine e collocato in un’area suggestiva e ricca di castagni.

Tornando per la stessa strada alla frazione e a l'Arvoira percorriamo l’unica strada che l’attraversa e giungiamo alla Capèla dou Crét, anch’essa restaurata tra 2006 e 2011 dall’Università della Terza Età con il concorso di privati, fondazioni e parrocchia. È un piccolo gioiello settecentesco (per la visita telefonare in parrocchia). Costruita nel 1713 e consacrata quattro anni dopo, testimonia anzitutto il desiderio di una piccola comunità di avere un luogo sacro sul proprio territorio, non certo per sollevarsi dai disagi relativi alla pratica devozionale nella cattiva stagione – giacché lì si celebrava una sola messa l’anno nel giorno di santa Brigida d’Irlanda il primo febbraio –, quanto piuttosto per un desiderio spirituale e di affermazione ecclesiale. La Capèla dou Crét, in questo nuovo clima di rapporti «fra pari» all’interno della comunità religiosa – dove l’affermazione laicale in ambito religioso sia pure disciplinato in Confraternite o Compagnie ha un preciso valore di riscatto sociale agli occhi dei più – fece da apripista ad altri interventi in tal senso. Alcuni benestanti, unitamente al parroco e con il concorso della popolazione, decisero dunque la costruzione di questa cappella con l’impegno, implicito ma mai disatteso, di provvedervi in proprio alle necessità economiche. Aspetto questo che non è indifferente, sia perché in un luogo di culto «sprovvisto delle suppellettili necessarie» non può celebrarsi alcuna liturgia sia perché l’officiante, con il corredo di ceri e cantori, ha un costo, anch’esso disciplinato, a cui non si può eludere. La Capèla dou Crét rappresentò, dunque, un vanto per la popolazione della borgata, tanto da ottenere dal Vescovo della diocesi, mons. Francesco Vincenzo Lombard, il 30 gennaio 1827, che la frequenza alla messa nel giorno della festa assicurasse 40 giorni di indulgenza. Era messa cantata, preceduta da una novena e con benedizione con il SS. Sacramento nella chiesa parrocchiale.

Proseguendo il cammino, scendiamo verso il piano e imbocchiamo a sinistra, al limitare dell'ultima casa (un tempo la Cantin-a dou Crét), il sentiero verso Vaie: la Stra da Galéra. Un percorso agevole per un lungo tratto, soprattutto in estate, ma che ha un paio di balze scoscese e malamente conservate, forse duecento metri in tutto. Su questo sentiero – all’imbocco siamo in un’area ora disboscata con alcuni ruderi di abitazioni sulla destra (San 'd Roulan) poi si entra in un’area boschiva ricca di vegetazione – troviamo ou Pilounat, il secondo, di cui abbiamo riferito poc’anzi. Appena ripreso il sentiero dopo l’edicola votiva, a destra, è possibile scorgere tra la boscaglia delle rocce spaccate, si tratta di una piccola cava per l’estrazione di quarzite. Poco oltre – però il breve sentiero che vi conduce è davvero poco segnalato e accidentato – si può scorgere la Roca bachasat così definita perché alla sua sommità si trovano alcune conche naturali in cui si raccoglie l'acqua piovana. Sulla Stra da Galéra invece, appena superate le balze scoscese, sulla destra, si può notare un grande terrazzamento in pietra. Guardando però con attenzione sul sentiero si può osservare un grosso masso di colore verdastro, forse una ofiolite, proveniente dall’Orsiera nell’ultima glaciazione. Una curiosità.

Al termine del sentiero si giunge a ou Mulin delimitato da un alto muro perimetrale, all'interno del quale si trova anche l'Ort 'd Fournou. La prima traccia certa dell’esistenza di un mulino è data da un documento del 1552 che riferisce della proprietà – il prevosto della chiesa maggiore – e dell’attività di molitura del frumento, ma è ragionevole pensare che la costruzione del canale abbia radici più antiche forse già nel XIV secolo. È certo che ad inizio dell’Ottocento, accanto all’attività di molitura, vi era una fucina per la lavorazione del ferro e che gli impianti furono sfruttati per attività industriali nella seconda metà dell’Ottocento per una fabbrica di posate da Domenico Gilli nel 1873, divenuto poi opificio per la torcitura del lino dei Fratelli Lanza nel 1876, Lanificio Francesco Forno nel 1889, Cotonificio Lorenzo Rondi nel 1927 ed infine Industria per apparecchiature elettromeccaniche Rondi. Da un paio di decenni gli impianti sono dismessi, funziona ancora però la turbina per la produzione di energia idroelettrica.

Anche qui è possibile fare una deviazione dal percorso, poche decine di metri, fatte salve le considerazioni indicate in precedenza a proposito della Bialéra dou Mulin. Dal punto di arrivo della Stra da Galéra si può seguire la Bialéra dou Mulin per scorgere – è più adatto il periodo autunnale meno ricco di vegetazione – sia le Roque 'd Cantaran-a sia la S-chasoira dove il corso d’acqua passa tra le rocce spaccate dall’uomo per far spazio al Cantaran-a.  Riprendendo il nostro percorso, costeggiando il muro di recinzione dell’Ort 'd Fournou arriviamo alla strada asfaltata (la Stra 'd Vaie) che conduce a Sant’Antonino. In un paio di minuti giungiamo a le Couat (ë-)Stra e subito dopo, superata a destra un’area urbanizzata (le Batasére) un tempo campi coltivati a frumento, all’incrocio con Via Torino, incontriamo la Chéza di Proutestant. Una piccola escursione, poche decine di metri, è consigliata alle Couat (ë-)Stra. Si tratta del pannello posto all’ingresso del primo stabilimento della IREM (Industria Raddrizzatori Elettromeccanici) e dedicato al suo fondatore, Mario Celso, nato a Sant’Antonino il 1° marzo 1917 e premiato con l’Oscar Scientific Technical Award per aver contributo all’innovazione tecnologica del cinema, riconoscimento consegnatogli da Tom Hanks nella tradizionale cornice di eleganza e mondanità del Century Plaza Hotel di Los Angeles la sera del 7 marzo 1992. La notte degli oscar. Una passione, quella del cinema, che Celso coltivò fin da piccolo sulla scaletta della cabina di proiezione del «Cinema moderno» di Sant’Antonino (ora sede della chiesa evangelica battista) proprio come Totò nel film di Tornatore «Nuovo cinema paradiso».

Nel primo decennio del Novecento, dove ora c’è la Chéza di Proutestant, esisteva una grande tettoia rustica in cui lavorava un fabbro ferraio. Nel 1912, dopo la morte dell'artigiano, l'edificio fu completamente ristrutturato per ospitare la prima sala cinematografica di Sant'Antonino. Intorno al 1920 il locale fu messo in vendita insieme all'adiacente casetta e acquistato dall' «Opera Battista» che trasformò la sala nell'attuale tempio. All'interno fu costruito un battistero, nella contigua casa fu ricavato l'alloggio del pastore. L'origine della comunità evangelica battista santantoninese è fatta risalire al 25 maggio del 1905 quando il pastore evangelico Giovanni Battista Scrajber, in servizio presso la chiesa di Meana, invitato in paese dall'amministrazione comunale in evidente dissidio con il parroco del luogo, vi tenne la prima predicazione. Alcuni vi aderirono con entusiasmo e la piccola comunità, prima di disporre di questo tempio, si radunò in sale prese in affitto. Da allora, la fede evangelica non ha mai smesso di essere testimoniata a Sant'Antonino. L'inaugurazione del luogo di culto avvenne il 18 giugno 1922. Seguendo l’attuale Via Torino in direzione ovest, ovvero verso Susa, incontriamo sulla sinistra un paio di saracinesche abbassate, era la sede dell’antica osteria Da Palouc, poi pizzeria Aurora, ora non più in attività, come non lo è più, ma da molti decenni, il più blasonato ristorante ou Nasiounal all’angolo con Via Roma, la Stra da Stasioun.

Vale però una sosta la Piasa 'd Sant Antoni e la Capèla 'd Sant Antoni. La fontana in pietra è di recente fattura ma la sorngete d’acqua è più antica e fresca. Per quanto non sia corretto affermare che sia questa la sede dell’antica prevostura minore di San Desiderio, questa cappella è l’espressione del desiderio popolare di vedere di nuovo eretto un luogo di culto in questo borgo. Aspirazione legittima visto che questo è il borgo più antico del paese, il «Burgus S.Agata», che pure ebbe vita breve, giacché il toponimo scomparve già nell’ottavo decennio dell’XI secolo e la prevostura minore a metà del Seicento risulta decaduta e gli edifici gravemente compromessi. L’intero beneficio passò nel 1768 al Regio Patrimonio e da questi, nel 1786, a Giuseppe Pullini che per questo divenne Conte di Sant’Antonino e detentore di alcuni titoli feudali. Qualche decennio dopo la firma dell’atto di affrancamento dal Pullini – 18 ottobre 1798 – la comunità si radunò nella sala consiliare per deliberare la costruzione della cappella. Era l’anno 1826. Ad essa contribuì anche la popolazione, il terreno fu donato dal notaio Antonio Amprimo. Nell’estate del 1832 la chiesa fu aperta al culto. Il ricordo della Prevostura minore di San Desiderio è testimoniato solo più da una statua posta nella nicchia di destra della facciata. Anche qui resiste agli scossoni della secolarizzazione una Compagnia, detta 'd Sant Antoni che provvede alle incombenze cultuali in occasione delle celebrazioni della ricorrenza, il 17 gennaio, giorno in cui la tradizione vuole siano benedetti gli animali domestici.

Il nostro percorso è quasi giunto al termine, percorrendo Via Torino, poco dopo la Stra da Stasioun che, per inciso, è una della prime cinque della tratta Torino-Susa inaugurata il 24 maggio del 1854, incontriamo sulla destra la Farmacia che non presenta particolari caratteristiche artistiche o architettoniche (a parte al suo interno una bella porta con i colubri di Esculapio, emblemi della professione) ma che è una delle prime cento del Regno di Sardegna autorizzate da Re Carlo Emanuele nel marzo 1732. Pochi metri e siamo a ou Mounichipiou costruito nella seconda metà del Settecento che conserva ancora, nei locali interni, i tratti salienti della struttura originaria. Di fronte ad esso vi è un palazzo fatto costruire nell’ultimo decennio del Settecento per ospitare il medico condotto e locali di uso pubblico, in particolare per i Carabinieri reali a cavallo tra il 1814 e il 1855. La fontana ad esso inglobata è tra le più antiche del paese ed è nominata ancora oggi «dei carabinieri». Pochi passi e si è di nuovo an Piasa da dove ha avuto inizio il percorso.

 

testo di Piero Del Vecchio


Bibliografia
  • Aa.Vv., Storia, arte, attualità della Chiesa in Valsusa. Bicentenario della Diocesi di Susa, Cuneo 1972.
  • S. Savi, La Cattedrale di San Giusto e le chiese romaniche della Valle di Susa, Pinerolo 1992.
  • Sant’Antonino. Note storiche e artistiche, P. Del Vecchio (a cura di) Condove 1998.
  • Aa.Vv., Affrancamento della Comunità di Sant'Antonino verso il Signor Conte Giuseppe Pullini feudatario della medesima in data 18 ottobre 1798, Università della Terza Età, Condove 1998.
  • Aa.Vv., I luoghi dei sogni. Uomini e sale cinematografiche in bassa e alta Valle di Susa: quasi 100 anni di storia, Condove 1999.
  • Aa.Vv., Transazione eseguita fra il magnifico e molto reverendo Signor Chiafredo Bonadona di Rivoli Prevosto, ossia Commendatario della chiesa maggiore e signore di due delle tre parti del luogo di Sant'Antonino e la magnifica Comunità e gli uomini del luogo, Università della Terza Età, Condove 1999.
  • Atlante toponomastico del Piemonte montano, Sant’Antonino di Susa, Torino, 2001.
  • Aa.Vv., Ilse Schölzel Manfrino: una vita di spontaneo coraggio, Università della Terza Età, Almese 2004.
  • Aa.Vv., La comunità di Sant’Antonino tra Seicento e Ottocento: percorsi di lettura, Avigliana 2007.
  • L’acqua contesa. Storia del Canale Cantarana e del suo consorzio, P. Del Vecchio (a cura di), Borgone 2010.
  • Sant’Antonino martire. Memoria e identità di una chiesa romanica, P. Del Vecchio, F. Novelli (a cura di), Borgone 2011.